Descrizione: D-&-Innovazione-2018

 

 

ISPROM

ISTITUTO DI STUDI E PROGRAMMI PER IL MEDITERRANEO

 

CITTà DEL MEDITERRANEO

iNCONTRO PROGRAMMATICO PER LA COOPERAZIONE

Sassari, 2 - 3 dicembre  2016

 

 

Descrizione: Coppola-Formato tesseraLe vie della cooperazione e della pace negli obiettivi della Santa Sede e della Conférence permanente con particolare riferimento all’area mediorientale

 

RAFFAELE COPPOLA

Promotore di Giustizia della Santa Sede

 

 

SOMMARIO: 1. Lo spirito mediterraneo. – 2. Le città come elemento costitutivo delle Nazioni. – 3. Dualismo e monismi religiosi. – 4. La pace e la cooperazione in Terrasanta.

 

 

1. – Lo spirito mediterraneo

 

Il giovane e autorevole Sindaco di Gallipoli Stefano Minerva, Presidente della Commissione della Conférence Permanente des Villes Historiques de la Méditerranèe, ha ricordato l'art. 3 dello Statuto dell’Associazione, che parla di città storiche soprattutto piccole e medie, proprio sul modello di Gallipoli. “Storiche” perché il fenomeno delle città deve essere correttamente collegato così alla geografia come alla storia; “piccole e medie” perché in esse è dato far emergere più facilmente, o meno difficilmente, lo spirito originario delle città mediterranee, non necessariamente situate in territori rivieraschi se la dimensione prevalente, accolta dalla Conferenza permanente, è quella “culturale” nel senso più giusto del termine.

Il Mediterraneo è, come si legge in un brano famoso, “mille cose allo stesso tempo”. Non è solo un paesaggio, ma numerosi paesaggi, “non è un mare, ma una successione di mari, non una civiltà, ma civiltà ammassate le une sulle altre” (Braudel). Il Mediterraneo - qualcuno ha aggiunto efficacemente - è anche il mare di tante e differenti storie religiose: da molto più di un millennio “è il mare dove si incrociano, si scontrano e coabitano cristiani, musulmani ed ebrei” (Riccardi).

Vorrei insistere, da Promotore di Giustizia della Santa Sede, in particolare della Corte di Appello dello Stato della Città del Vaticano, sulla coabitazione, civile e religiosa, nonostante le esperienze negative del passato ed i bagliori di guerra, che non cessano pure nel presente. Nella visione della Conference Permanente e dell’Istituto di studi e programmi per il Mediterraneo (ISPROM), dove ha sede la Segreteria della Conferenza, nella concezione di un gruppo di docenti universitari (al quale mi onoro di appartenere al pari dei Prof.ri Catalano e Lobrano), che mirano a rinnovare l’alleanza fra città e Università del Mediterraneo, il mondo antico era “marecentrico” ed il mare al centro del mondo era il Mediterraneo.

Lungo le coste di questo mare la presenza delle religioni è profondamente radicata, al punto che l'odierno loro protagonismo va riguardato, piuttosto che come un fatto recente, quale prodotto di una lunga storia, che vede sempre più l'emergere di una nuova componente, il secolarismo, originato dallo spirito dei Lumi, a cui si riconnette l'idea di laicità dello Stato, inteso quale corporazione istituzionale.

Come sappiamo, la storia antica è una storia di tensione verso una unità del mondo allora conosciuto, molto meno esteso di quello di oggi, sul fondamento della identità e della centralità del Mediterraneo. Nella fase storica contemporanea, in primo luogo attraverso le città ma anche attraverso le altre forme di autonomia, il Mediterraneo si riscopre luogo delle confluenze geografica, economica, politica e, non da ultimo, religiosa di continenti e di popoli, postulando nuovamente una politica mediterranea (a raggio notevolmente più allargato), non imposta dall’esterno ma fatta dai popoli dei tre continenti che si affacciano sul Mediterraneo.

Anche la politica estera, lo abbiamo visto in concreto a Betlemme ed a Gerusalemme, può essere praticata non unicamente dai vertici ma pure dal basso, o meglio dalla base, costituita appunto dalle città, naturalmente senza misconoscere i compiti ed il ruolo propri dello Stato, anzi postulando una efficace cooperazione tra i diversi livelli di autonomia da una parte e gli Stati dall’altra.

 

 

2. – Le città come elemento costitutivo delle Nazioni

 

Alla radice di tale prospettiva c’è una intuizione di Giorgio La Pira. Sul frontespizio del volume “Da Betlemme a Gallipoli – Patrimonio Mondiale dell’Unesco” che figura tra le pubblicazioni della Conférence Permanente, si legge una frase dello stesso, che rappresenta un’ipotesi di ricerca ed insieme d’insegnamento dell’insigne romanista, formulata negli anni cinquanta del secolo breve. “Unire le città per unire le nazioni”, a cui si aggiunge un’altra frase, sempre di La Pira, la quale consente di cogliere meglio le idealità e gli obiettivi della Conferenza permanente delle città storiche del Mediterraneo: “Sanare le città per sanare le nazioni” anche dal punto di vista della salvaguardia dei valori religiosi, espliciti ed impliciti, intesi come strumenti di coesione, come valori identitari e accoglienti in funzione della cooperazione e della pace, non come mezzi d'imposizione di una determinata fede o di sopraffazione delle coscienze.

Le affermazioni di La Pira esprimono una teoria complessa del diritto pubblico, che può essere sinteticamente articolata in alcune proposizioni, che espongo sintetizzando il pensiero del Segretario esecutivo della Conférence Permanente, Prof. Giovanni Lobrano.

La città è l’elemento costitutivo delle nazioni ed essa è dotata di forma essenziale, non soltanto di una “faccia” e di una competenza interna ma altresì di una “faccia” e di una competenza esterna, dalla quale, addirittura, occorre prendere le mosse. Ne consegue la possibilità, direi anzi l’esigenza, di una politica a misura e regola delle città sia nelle relazioni esterne sia in quelle interne a ciascuna città. Questa politica, poi, è l’unica possibile, anzi necessaria all’interno e all’esterno di ciascuna nazione e di tutte le nazioni.

Insomma, rovesciando i termini del fenomeno odierno – ancora da studiare e spesso iniquo – della globalizzazione, non dovrebbero essere i problemi del mondo a condizionare il governo delle singole nazioni e, in particolare, delle singole città, ma, stando all’intuizione profetica di La Pira, sono i problemi mondiali a dover esser affrontati dal di dentro della città-repubblica (urbs civitas), con il suo metodo specifico; in altri termini, l’invito è ad affrontare i problemi della città come  problemi mondiali, anzi universali.

Da ciò, la constatazione del fenomeno positivo della “risorgenza” in Europa e persino nel mondo intero, anche per la realizzazione di un’ originale “cooperazione decentrata”, del ruolo politico delle città e delle reti di città, che costituiscono il modo “mediterraneo, concreto, repubblicano-democratico e  solidale” di concepire lo Stato (insomma un sistema costituzionale “altro”), che ha radici proprio nel diritto romano e si oppone alla forma di Stato, in crisi e produttiva di divisioni, forgiata sul modello inglese. Le città storiche, in particolare, conservano nei propri “centri storici”, nelle geometrie dei propri edifici (continentia aedificia) e muri i codici urbani delle istituzioni civiche e viceversa; esse sono depositarie di una parte importante della scienza necessaria e – come degli “analfabeti di ritorno” – dobbiamo daccapo imparare a leggerla (Lobrano).

 

 

3. – Dualismo e monismi religiosi

 

Dal confronto dei tre monoteismi con la concezione laica dello Stato indubbiamente emerge, nell'ottica tradizionale, che la separazione dei due poteri (civile e religioso) è un'acquisizione del mondo occidentale. Che anzi, a fronte delle difficoltà della suddetta concezione nel Medio Oriente contemporaneo, musulmano ed ebraico (non da ultimo per la crescente influenza dei movimenti religiosi radicali o fondamentalisti), il cristianesimo e in particolare la Chiesa cattolica (molto meno il mondo ortodosso) hanno saputo esorcizzare il “fantasma laico”, venendo gradualmente a patti con esso, specialmente dopo il Concilio Vaticano II.

Certo, il confronto dialettico si stempererebbe ove fosse riconosciuto in maniera più consistente il protagonismo delle città, in ispecie delle città “storiche”, attraversate da problemi concreti di testimonianza, di vita e di sopravvivenza che le avvicinano alle persone fisiche, ai singoli individui, a quegli spiriti liberi che non si riconoscono nelle ideologie misurate e spesso strumentali, professate dagli apparati statuali o dalle élites di intellettuali, di sinistra o di destra.

La complessità della realtà istituzionale, come emerge dal modello vivo della  Conférence Permanente des Villes Historiques de la Méditerranée, conduce fuori della rigidità degli schemi dello Stato confessionale e dello Stato laico anche in rapporto al cristianesimo. Avevo e continuo ad avere a modello la città per antonomasia, cioè la civitas romana, le linee di evoluzione segnate dalle alterne vicende non solo dei poteri politici ed economici ma anche di quelli militari e religiosi.

Andrebbe tuttavia riconosciuto che sino al cristianesimo, e all'infuori in particolare del cattolicesimo, lo Stato con le sue istituzioni portanti è insieme “Chiesa” ed il sovrano è pure il diretto ed unico rappresentante della potestà divina. Con l'avvento della Chiesa nel mondo questa situazione è cessata e da ciò sono scaturiti tutti i diritti individuali, è sorto tutto il mondo moderno, tutta la civiltà di cui i c.d. “laicisti” vorrebbero rivendicare i pretesi diritti proprio contro la Chiesa, che ne è madre ed autrice (Giacchi).

Forse è possibile ravvisare in questa posizione un intento apologetico, ma è pur vero, da una parte, che Israele non ha ancora risolto il contenzioso fra i fondatori dello Stato ed i religiosi (Poulat), conservando i caratteri dello Stato confessionale non aperto verso nuovi modelli o, quanto meno, di una molto problematica laicità, mentre, dall'altra, i rapporti fra Islam e istituzioni politiche nell'area mediterranea rivelano una concezione tendenzialmente monista, esattamente l’opposto del menzionato sistema, proprio della tradizione politico-giuridica occidentale (Catalano – Siniscalco), del dualismo di vincoli e di funzioni, che si riconduce comunemente a Gelasio I (494 d.C.) ed, ancor prima, allo stesso Fondatore della Chiesa (Mt. 22,21). In forza di esso il confronto fra «le due spade», fra sacerdotium e imperium o, meglio, fra potere religioso e potere civile-politico, nelle diverse articolazioni, è stato continuo, estremamente complesso e non infrequentemente conflittuale, onde affermare, con i mezzi di volta in volta consentiti, la supremazia dell’uno sull’altro e viceversa (Gaudemet).

Occorre certo sfatare il mito dell’assoluta chiusura dei Paesi della riva sud del Mar Mediterraneo alla separazione della sfera politica da quella religiosa, le tesi estreme secondo cui in essi siano del tutto inconcepibili, in atto od in prospettiva, qualsiasi forma di laicità dello Stato o delle civiche istituzioni e, conseguentemente, «il pluralismo dei culti, la concorrenza ideologica e la tolleranza nei confronti dell’indifferenza religiosa e dell’ateismo» (Charfi).

Nondimeno, la legge sacra dell’Islam e l’ordine politico islamico, con la varietà di posizioni che è possibile verificare, rappresentano una realtà imprescindibile in tutti i Paesi mediorientali, non comparabile con l’atteggiamento dei Paesi della riva nord (europeo-cristiana) e di quelli occidentali in generale, tanto più perché occorre prendere atto dell’aperta reazione alle tendenze laiciste, registrata in questi ultimi anni anche sotto la spinta dei richiamati movimenti fondamentalisti.

Non poche incrinature è possibile notare perfino in Turchia, pur trattandosi di un Paese dove è stato formalmente adottato il principio giuridico della separazione fra religione ed apparato statale (Lewis), specialmente ai nostri giorni, in cui si assiste ad una messa in discussione, popolare e politica, dell'impianto voluto da Mustafa Kemal Atatürk, fondatore e primo Presidente della Repubblica turca (1923-1938). Il principio dualistico, nel senso recepito dalla tradizione occidentale, subisce incrinature o correzioni anche nei Paesi dove la religione ortodossa e la religione maggioritaria, pur respirando la Chiesa universale, secondo la bella immagine del pensatore russo V. Ivanov (1866-1949), con i due polmoni della spiritualità orientale e di quella latina.

 

 

4. – La pace e la cooperazione in Terrasanta

 

Da quanto esposto vengono alla luce importanti riferimenti per una ricerca storico-giuridica su un mondo in cui libertà di coscienza, rete delle autonomie, città e religioni appaiono come protagonisti in funzione della cooperazione, della coesistenza e della pace. Si tratta di un àmbito in cui, ancora una volta, la Chiesa cattolica, anche nelle articolazioni locali, gioca un ruolo imprescindibile, differente dagli altri monoteismi e, comunque, da qualsiasi altra religione, non vantando essi una personalità internazionale “diffusa” in qualche modo assimilabile, sia pure latamente, a quella della Santa Sede nei suoi svolgimenti odierni (Petroncelli Hübler).

È stato così possibile alla stessa contribuire decisivamente ad un cambiamento del modo di vedere il diritto internazionale, un mutamento che è sotto gli occhi di tutti, anche al di fuori del bacino del Mar Mediterraneo. Abbandonato il vecchio modello di Westfalia, l'ordine internazionale sempre più sembra orientarsi sul differente modello della Carta delle Nazioni Uninte, dal quale emergono “il valore della pace, il rispetto dei diritti umani, l'autodeterminazione dei popoli, l'uguaglianza sovrana degli Stati, la buona fede, la cooperazione internazionale” (Dalla Torre – Boni).

Con riguardo alla Terrasanta vi è sostanziale coincidenza fra gli obiettivi della Santa Sede e quelli della Conférence Permanente. Essi sono, per l'area che ora interessa, il consolidamento del processo di pace nel pericoloso focolaio mediorientale (al centro dei conflitti armati oggi esistenti nel mondo); la presenza cristiana in Terra Santa; l’abbattimento del muro della divisione etnica e politica, che pone in stato d'assedio Betlemme e tutte le città della Palestina; la difesa e la valorizzazione di Betlemme (occorre continuare a seguire, perciò, la sua stella secondo l'insegnamento di La Pira),  nel quadro, come ho detto, della  visione di una  politica estera che muove dal basso, cioè anche dalle città, oltre che dai vertici politici internazionali e dagli Stati.

In quest’ottica il XII Seminario internazionale della Conférence, ove si accolgano i nostri auspici, potrebbe essere dedicato alla disamina del punto di vista delle città del Mediterraneo in merito alla prospettiva di ricognizione del quadro giuridico del debito fra ONU e Corte Internazionale di Giustizia, come ventilato dal Sindaco di Gallipoli nell’evidenziare incisivamente i possibili scenari del dopo referendum in Italia. 

Ove si desideri, conclusivamente, un’indicazione sul segnale politico di fondo delle varie edizioni dei concerti per la pace, sorti nell'alveo della Conferenza Permanente e attualmente gestiti in spirito di collaborazione dall'Associazione per la vita e per la pace di Valmontone, del piano regolatore generale (Master Plan) di Betlemme e del complesso progetto della Conférence, dell’ISPROM e (credo) dell’Istituto dell’Europa dell’Accademia delle scienze di Russia per la Palestina,  si può rispondere, almeno a mio avviso, che essi testimoniano la volontà di esistere del popolo palestinese e dei suoi organismi istituzionali. Non più uno Stato che domina una popolazione, rappresentata da una debole Autorità, ma due Stati (speriamo non accentratori) con piena dignità sul piano politico, secondo una strada che gli stessi Stati Uniti (notoriamente filo-israeliani) intendono percorrere od, almeno, così ci auguriamo che continui ad essere in futuro.

Continuano le notizie non confortanti sulla intransigenza israeliana e sullo sviluppo del processo di radicalizzazione palestinese, dentro e fuori Israele. Se le incomprensioni dovessero continuare, sarebbe inevitabile, secondo alcuni commentatori, la fine della strategia risalente alla “Road Map”, rivolta a creare, come abbiamo appena detto e ci auguriamo, due Stati moderni in Terrasanta. Ne trarrebbero vantaggio tutti coloro, e non sono pochi, che credono nella necessità di esistenza di un solo Stato per due popoli in Palestina ed Israele.

Con una importante differenza, che non si manca di sottolineare: uno Stato ebraico con due popoli significherebbe un grosso problema demografico arabo (esplosivo) all'interno delle proprie frontiere: uno Stato islamico con due popoli significherebbe, non meno dolorosamente, un grosso problema di identificazione di “cimiteri sufficientemente grandi per accogliere gli ebrei” (Segre). In ambedue i casi non avrebbe futuro il discorso fin qui svolto sulla cooperazione delle città e delle “città storiche” prima di tutto.